martedì 20 maggio 2014

La fortezza



La città contemporanea è evanescente, non sembra avere confini reali, si disperde ed esaurisce nei dintorni al di là della periferia sfuggendo verso qualcos’altro di ancora indistinto. Più la città s’ingrandisce, più questo carattere di vacuità si amplia, fagocita ciò che sta intorno. È ormai abituale l’argomentazione che dice che questo è il naturale evolvere delle cose, la globalizzazione porta con sé l’appiattimento dei luoghi e delle popolazioni; è quindi normale lo slittamento della realtà cittadina verso qualcosa di astratto e impalpabile. Il senso di appartenenza gradualmente si esaurisce. L’identità di una città, e quindi di coloro che la abitano, si disperde e disgrega a causa dello sfiguramento demografico, architettonico, sociale. Quello che vale per le città, vale naturalmente per gli Stati. Non esistono confini né frontiere reali, non esistono distinzioni e tutto è diventato valutabile secondi astratti canoni economici.
In questa che è la realtà quotidiana della maggior parte degli europei oggi, il senso di appartenenza viene meno. Il fondamentale istinto territoriale viene estirpato dai processi universalistici e, con lo sradicamento, si ha anche uno svuotamento della forza. Oggi si elogiano ovunque i deboli, gli arrendevoli e gli insicuri e le caratteristiche autentiche dell’uomo virile e virtuoso sono messe in secondo piano se non discreditate. Alla forza tranquilla si sostituisce l’arroganza, alla cultura si sostituisce il nozionismo take-away. Un uomo che non senta di appartenere a niente e a nessuno – magari neppure a se stesso – non ha identità e non ha doveri. Questo uomo, che riflette i caratteri della maggioranza delle persone oggi, crede di essere libero perché tutto gli è concesso, ma è soltanto un cagnolino impotente a cui è stato tolto anche il ruolo di guardiano della casa e del suo padrone. È un cane che non serve a nulla.
Perciò la protezione della città e della popolazione è demandata alle forze dell’ordine e alle cure dello Stato. Ovunque la gente si lamenta di questo e di quello e tutti saprebbero fare di meglio degli apparati burocratici incaricati di occuparsi della vita di ognuno, ma nessuno fa niente perché nessuno ha il coraggio o la forza interna e fisica per farlo. Basterebbe molto poco per cortocircuitare il sistema imperante, il suo controllo pervasivo e il suo condizionamento. Bisognerebbe però assumersi le proprie responsabilità agire attivamente, sorgere come uomini e guerrieri.



Esistono ancora cittadelle costruite all’interno della cinta muraria di fortezze medievali. Attorno al perimetro collinare scorrono sottili torrenti e ponti di legno e pietra collegano i punti chiavi della cittadina con l’esterno. Le mura delimitano, proteggono e racchiudono una ricchezza identitaria fatta di storia, cultura, fatti d’arme. L’istinto immediato è quello di percepire una grande coesione, il pulsare di una vita autentica nelle vie di acciottolato e nelle piazze su cui dominano i campanili e i bastioni turriti. Anche le abitazioni rispecchiano questa realtà contenuta e ristretta, i tetti rispettano l’altezza delle torri di guardia e la vita quotidiana assume un ritmo sconosciuto alle città più grandi e dispersive. Forse è solo un’illusione momentanea, o il richiamo romantico di epoche andate, eppure l’estetica e la potenza delle cinta murarie trasmettono ancora un senso di radicamento territoriale assente altrove.
La fortezza è il simbolo della grandezza europea. In essa si riuniscono l’autorità, la forza, l’ingegno e l’arte che dominano le campagne circostanti. La forza militare che la domina è una forza appartenente al territorio, gli uomini in armi sono i difensori del perimetro e i garanti della prosperità cittadina. Già Platone assegnava ai Guardiani un ruolo fondamentale, allo stesso modo le milizie medievali conservarono un peso politico decisivo. L’uomo in armi, quale sia il suo rango, è l’uomo che ha potere, è l’uomo che può decidere e modificare la realtà delle cose. L’uomo disarmato dipende dagli altri, è in balia degli eventi. Il margine reale di libertà di ciascuno si misura quindi nel grado di indipendenza dall’autorità costituita, dalla capacità e dalla volontà cioè di fare da sé, di difendere il proprio territorio e la propria libertà. Forza e virtù sono appaiate.

La realtà più concreta e viva a cui l’uomo di oggi possa sentire di appartenere è la propria comunità di simili, la propria famiglia, il clan. Nella società globalizzata e senza confini, è nel ristretto e nel limitato che si può riscoprire l’autentico legame, l’identità profonda e una forza solidale e vitale. Una comunità costruita sull’esercizio della disciplina interiore e fisica, radicata in un luogo custodito e difeso gelosamente. Si comprende allora il senso dell’abitare una fortezza o un bastione che, come un faro, si staglia su una realtà quotidiana grigia e disgregata. Una moderna fortezza con le sue leggi e i suoi ordini, l’origine di una realtà differente dall’attuale, una crepa nel grigiore monolitico del mondialismo dominante.


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