La città contemporanea è evanescente, non sembra avere
confini reali, si disperde ed esaurisce nei dintorni al di là della periferia
sfuggendo verso qualcos’altro di ancora indistinto. Più la città s’ingrandisce,
più questo carattere di vacuità si amplia, fagocita ciò che sta intorno. È
ormai abituale l’argomentazione che dice che questo è il naturale evolvere
delle cose, la globalizzazione porta con sé l’appiattimento dei luoghi e delle
popolazioni; è quindi normale lo slittamento della realtà cittadina verso
qualcosa di astratto e impalpabile. Il senso di appartenenza gradualmente si
esaurisce. L’identità di una città, e quindi di coloro che la abitano, si
disperde e disgrega a causa dello sfiguramento demografico, architettonico,
sociale. Quello che vale per le città, vale naturalmente per gli Stati. Non
esistono confini né frontiere reali, non esistono distinzioni e tutto è
diventato valutabile secondi astratti canoni economici.
In questa che è la realtà quotidiana della maggior parte
degli europei oggi, il senso di appartenenza viene meno. Il fondamentale
istinto territoriale viene estirpato dai processi universalistici e, con lo
sradicamento, si ha anche uno svuotamento della forza. Oggi si elogiano ovunque i deboli, gli arrendevoli e gli
insicuri e le caratteristiche autentiche dell’uomo virile e virtuoso sono messe
in secondo piano se non discreditate. Alla forza tranquilla si sostituisce
l’arroganza, alla cultura si sostituisce il nozionismo take-away. Un uomo che
non senta di appartenere a niente e a nessuno – magari neppure a se stesso –
non ha identità e non ha doveri. Questo uomo, che riflette i caratteri della
maggioranza delle persone oggi, crede di essere libero perché tutto gli è
concesso, ma è soltanto un cagnolino impotente a cui è stato tolto anche il
ruolo di guardiano della casa e del suo padrone. È un cane che non serve a
nulla.
Perciò la protezione della città e della popolazione è
demandata alle forze dell’ordine e alle cure dello Stato. Ovunque la gente si
lamenta di questo e di quello e tutti saprebbero fare di meglio degli apparati
burocratici incaricati di occuparsi della vita di ognuno, ma nessuno fa niente
perché nessuno ha il coraggio o la forza interna e fisica per farlo. Basterebbe
molto poco per cortocircuitare il sistema imperante, il suo controllo pervasivo
e il suo condizionamento. Bisognerebbe però assumersi le proprie responsabilità
agire attivamente, sorgere come uomini e guerrieri.
Esistono ancora cittadelle costruite all’interno della cinta
muraria di fortezze medievali. Attorno al perimetro collinare scorrono sottili
torrenti e ponti di legno e pietra collegano i punti chiavi della cittadina con
l’esterno. Le mura delimitano, proteggono e racchiudono una ricchezza
identitaria fatta di storia, cultura, fatti d’arme. L’istinto immediato è
quello di percepire una grande coesione, il pulsare di una vita autentica nelle
vie di acciottolato e nelle piazze su cui dominano i campanili e i bastioni
turriti. Anche le abitazioni rispecchiano questa realtà contenuta e ristretta,
i tetti rispettano l’altezza delle torri di guardia e la vita quotidiana assume
un ritmo sconosciuto alle città più grandi e dispersive. Forse è solo
un’illusione momentanea, o il richiamo romantico di epoche andate, eppure
l’estetica e la potenza delle cinta murarie trasmettono ancora un senso di
radicamento territoriale assente altrove.
La fortezza è il simbolo della grandezza europea. In essa si
riuniscono l’autorità, la forza, l’ingegno e l’arte che dominano le campagne
circostanti. La forza militare che la domina è una forza appartenente al
territorio, gli uomini in armi sono i difensori del perimetro e i garanti della
prosperità cittadina. Già Platone assegnava ai Guardiani un ruolo fondamentale,
allo stesso modo le milizie medievali conservarono un peso politico decisivo.
L’uomo in armi, quale sia il suo rango, è l’uomo che ha potere, è l’uomo che
può decidere e modificare la realtà delle cose. L’uomo disarmato dipende dagli
altri, è in balia degli eventi. Il margine reale di libertà di ciascuno si
misura quindi nel grado di indipendenza dall’autorità costituita, dalla
capacità e dalla volontà cioè di fare da sé, di difendere il proprio territorio
e la propria libertà. Forza e virtù sono appaiate.
La realtà più concreta e viva a cui l’uomo di oggi possa
sentire di appartenere è la propria comunità di simili, la propria famiglia, il
clan. Nella società globalizzata e senza confini, è nel ristretto e nel
limitato che si può riscoprire l’autentico legame, l’identità profonda e una
forza solidale e vitale. Una comunità costruita sull’esercizio della disciplina
interiore e fisica, radicata in un luogo custodito e difeso gelosamente. Si
comprende allora il senso dell’abitare una fortezza o un bastione che, come un
faro, si staglia su una realtà quotidiana grigia e disgregata. Una moderna
fortezza con le sue leggi e i suoi ordini, l’origine di una realtà differente
dall’attuale, una crepa nel grigiore monolitico del mondialismo dominante.