lunedì 20 ottobre 2014

Marte ed Efesto: il ritorno della storia

di Guillaume Faye (trad. dall'inglese di F. Boco)

Permettetemi una parabola “archeofuturista” basata sul simbolo eterno dell’albero, che affiancherò a quello del razzo. Ma prima, osserviamo il volto inquietante del secolo che avanza.
Il ventunesimo secolo sarà un secolo di ferro e tempeste. Non assomiglierà a quegli armoniosi futuri immaginati negli anni ’70. Non sarà il villaggio globale profetizzato da Marshall MacLuhan nel 1966, o la connessione planetaria di Bill Gates, o la fine della storia di Francis Fukuyama: una civilizzazione liberale globale diretta da uno stato universale. Sarà un secolo di popoli in competizione e identità etniche. E paradossalmente, i popoli vittoriosi saranno quelli che rimarranno fedeli a, o torneranno a, valori e realtà ancestrali – che sono biologiche, culturali, etiche, sociali e spirituali – e che al tempo stesso domineranno la tecnoscienza. Il ventunesimo secolo sarà quello in cui la civilizzazione europea, prometeica e tragica ma eminentemente fragile, passerà attraverso una metamorfosi o si avvierà all’irrimediabile tramonto. Sarà un secolo decisivo.
In Occidente, il diciannovesimo e ventesimo secolo sono stati i tempi della fede nell’emancipazione dalle leggi della vita, la credenza che fosse possibile avanzare indefinitamente dopo aver raggiunto la luna. Il secolo ventunesimo probabilmente segnerà seccamente il punto d’arrivo e noi “torneremo alla realtà”, probabilmente soffrendo.
I secoli diciannovesimo e ventesimo videro l’apogeo dello spirito borghese, questa piccola escrescenza mentale, questo mostruoso e deforme simulacro dell’idea di élite. Il ventunesimo secolo, un tempo di tempeste, vedrà il contemporaneo rinnovarsi dei concetti di popolo e aristocrazia. Il sogno borghese crollerà per la putrefazione dei suoi principi fondanti e le sue puerili promesse: la felicità non viene da materialismo e consumismo, dal trionfante capitalismo transnazionale e dall’individualismo. E neppure da sicurezza, pace o giustizia sociale.
Coltiviamo allora l’ottimismo pessimistico di Nietzsche. Come scrisse Drieu La Rochelle: “Non c’è più alcun ordine da conservare; è necessario crearne uno nuovo”. L’inizio del ventunesimo secolo sarà difficile? Tutti gli indicatori sono rossi? Tanto peggio, tanto meglio. Hanno previsto la fine della storia dopo il collasso dell’URSS? Noi vogliamo accelerarne il ritorno: roboante, bellicoso e arcaico. L’Islam ricomincia le sue guerre di conquista. L’imperialismo americano è scatenato. Cina e India intendono diventare superpotenze. E così via. Il ventunesimo secolo sorgerà sotto il doppio segno di Marte, dio della guerra, e Efeso, il dio che forgia le spade, il signore della tecnologia e dei fuochi ctoni.

Verso la quarta era della Civiltà Europea
La civiltà europea – non bisognerebbe esitare a chiamarla alta civiltà, nonostante i palati delicati degli etnomasochisti xenofili – sopravvivrà al ventunesimo secolo solo attraverso una dolorosa revisione di alcuni dei suoi principi. Ne sarà capace se rimarrà ancorata alla sua eterna personalità metamorfica: mutare rimanendo se stessa, coltivare radicamento e trascendenza, fedeltà alla sua identità e alle sue grandi ambizioni storiche.
La Prima Era della civiltà europea include l’antichità e il periodo medioevale: un tempo di gestazione e crescita. La Seconda Era va dall’Età delle scoperte alla Prima Guerra Mondiale: è l’Assunzione. La civiltà europea conquista il mondo. Ma come Roma o l’Impero di Alessandro, venne divorata dal suo stesso figliol prodigo, l’Occidente e l’America, e proprio dai popoli che colonizzò (superficialmente). La Terza Era della civiltà europea comincia, in una tragica accelerazione del processo storico, con il Trattato di Versailles e la conclusione della guerra civile 1914-18: il catastrofico ventesimo secolo. Quattro generazioni bastarono a disfare l’opera di più di quaranta. La Storia assomiglia agli asintoti trigonometrici della “teoria della catastrofe”: è al massimo del suo splendore che la rosa appassisce; è dopo un periodo di sole e calma che irrompe il ciclone. La Rupe Tarpea è vicina al Campidoglio! L’Europa cadde vittima del suo stesso tragico prometeanismo, il suo stesso aprirsi al mondo. Vittima degli eccessi di ogni espansione imperiale: universalismo, perdita di ogni solidarietà etnica, e quindi anche vittima di gretto nazionalismo.
La Quarta Era della civiltà europea inizia oggi. Sarà l’Era della rinascita o della perdizione. Il ventunesimo secolo sarà per questa civiltà l’erede dei fraterni popoli Indo-Europei, il secolo destinale, il secolo della vita o della morte. Ma il destino non è semplicemente fato. Contrariamente alle religioni del deserto, il popolo europeo sa nel profondo del suo cuore che destino e divinità non sono onnipotenti in rapporto alla volontà umana. Come Achille, come Ulisse, l’autentico uomo europeo non si prostra e non si inginocchia agli dei, ma resta in piedi. Non vi è inevitabilità nella storia.

La parabola dell’albero
Un albero ha radici, tronco e foglie. Il che vale a dire, il principio, il corpo e l’anima.
1)      Le radici rappresentano il “principio”, il fondo biologico di un popolo e il suo territorio, la sua madrepatria.  Non appartengono a noi; si trasmettono. Appartengono al popolo, all’anima ancestrale, e provengono dal popolo, ciò che i Greci chiamavano ethnos e i Germani volk. Provengono dagli antenati; esse sono rivolte a nuove generazioni. (Questo è il motivo per cui ogni accoppiamento tra parenti è un’appropriazione illegittima di un bene che deve essere tramandato e quindi un tradimento). Se il principio svanisce, nulla è più possibile. Se si taglia il tronco dell’albero, esso può ben ricrescere. Anche se ferito, l’albero può continuare a crescere, finché conserva la fedeltà alle proprie radici, alle sue fondazioni ancestrali, il suolo che fornisce la vita. Ma se le radici vengono strappate o il suolo inquinato, l’albero è condannato. Questo è il perché colonizzazione territoriale e mescolamento razziale sono infinitamente più seri e mortali di ogni asservimento culturale e politico, da cui un popolo può guarire.
Le radici, il principio dionisiaco, crescono e penetrano il suolo in nuove ramificazioni: vitalità demografica e protezione territoriale dell’albero contro le erbacce. Le radici, il “principio”, non sono mai fisse. Esse dispiegano la propria essenza, come dice Heidegger. Le radici sono al tempo stesso “tradizione” (ciò che passa di mano in mano) e “archè” (fonte di vita, eterno rinnovamento). Le radici sono quindi la manifestazione della più profonda memoria ancestrale e dell’eterna giovinezza dionisiaca. Quest’ultima si riferisce al concetto fondamentale di dispiegamento.
2)      Il tronco è il suo “soma”, il corpo, l’espressione culturale e psichica del popolo, sempre rinnovantesi ma sostenuto dalla linfa fornita dalle radici. Non è solidificato, non è congelato. Cresce in strati concentrici e si innalza verso il cielo. Oggi, quelli che vogliono neutralizzare e abolire la cultura europea tentano di “preservarla” sotto forma di monumenti del passato, come in formaldeide, per “neutri” studenti, o più semplicemente per abolire la memoria storica delle giovani generazioni. Fanno il lavoro dei boscaioli. Il tronco, nella terra a cui appartiene, anno dopo anno, cresce e muta. L’Albero della vecchia civiltà europea è al contempo sradicato e intatto. Una quercia di dieci anni non assomiglia a una di mille anni, ma è la stessa quercia. Il tronco, che si protende verso la luce, obbedisce al principio Iuppiterino.
3)      Il fogliame è la parte più fragile e bella. Muore, appassisce e riappare come il sole. Cresce in ogni direzione. Il fogliame rappresenta la psiche, cioè la civilizzazione, la produzione e profusione di nuove forme di creazione. È la ragione di vita dell’albero, la sua missione. In aggiunta, a quale legge obbedisce la crescita delle foglie? Fotosintesi. Vale a dire “l’utilizzo della forza della luce”. Il sole nutre le foglie che, in cambio, producono ossigeno vitale. Il fiorente fogliame segue dunque il principio Apollineo. Ma attenzione: se esso si sviluppa disordinatamente e anarchicamente (come la civilizzazione europea, che ha cercato di diventare l’Occidente globale ed estendersi a tutto il pianeta), sarà travolto dalla tempesta, come una vela male cardata, che schianterà e sradicherà l’albero a cui appartiene. I rami devono essere potati, disciplinati. Se la civilizzazione europea intende sopravvivere, non deve estendersi all’intera Terra, e neppure utilizzare la strategia delle braccia aperte…  poiché il fogliame che è troppo intrepido si estende eccessivamente, o si lascia sopraffare dalle erbacce. Essa deve concentrarsi sul suo spazio vitale, l’Eurosiberia. Da qui l’importanza dell’imperativo dell’etnocentrismo, un termine che è politicamente scorretto, ma che è da preferire al modello “etnopluralista” e di fatto multietnico che cospiratori e distorsori spingono allo scopo di confondere lo spirito di resistenza della giovane élite ribelle.
Si può comparare la metafora tripartita dell’albero con quella straordinaria invenzione europea che è il razzo. I propulsori corrispondono alle radici, col fuoco ctonio. Il corpo cilindrico è come il tronco dell’albero. E la capsula, da cui vengono sganciati satelliti o vascelli potenziati da pannelli solari, fa venire in mente le foglie.
È davvero un caso che la serie di cinque grandi razzi spaziali costruita da europei – inclusi quelli espatriati in USA – fossero chiamati rispettivamente Apollo, Atlas, Mercurio, Tor e Arianna? L’Albero è il popolo. Come il razzo, esso si innalza verso il cielo, ma parte da una terra, un suolo fertile dove non può essere ammessa alcuna malerba. Da un punto di vista ambientale, ci si assicura una perfetta protezione e totale pulizia della rampa di lancio. Allo stesso modo, il buon giardiniere sa che se l’albero deve crescere alto e forte, deve pulire la sua base dalle erbacce che impoveriscono le sue radici, liberare il tronco dalla presa delle piante parassite e anche sfoltire i rami pendenti e sovrabbondanti.

Dal tramonto all’alba
Questo sarà il secolo della metamorfica rinascita dell’Europa, come la Fenice, o della sua scomparsa come civilizzazione storica e della sua trasformazione in uno sterile Luna Park cosmopolita, mentre gli altri popoli conserveranno le loro identità e svilupperanno il loro potere. L’Europa è minacciata da due virus affini: quello di dimenticare se stessa per aridità interiore e quello di eccessiva “apertura all’altro”. Nel ventunesimo secolo l’Europa, per sopravvivere, dovrà curarli entrambi, vale a dire, ritornare alla sua memoria e seguire le sue aspirazioni faustiane e prometeiche. Questa è la necessità della coincidentia oppositorum, la convergenza degli opposti, o la duplice necessità di memoria e volontà di potenza, contemplazione e creazione innovativa, radicamento e trascendenza. Heidegger e Nietzsche…
L’inizio del ventunesimo secolo sarà la terribile mezzanotte del mondo di cui parlò Holderlin. Ma fa sempre più buio prima dell’alba. Si sa che il sole tornerà, sol invictus. Dopo il crepuscolo degli dei: l’alba degli dei. I nostri nemici hanno sempre creduto nella Grande Sera, e le loro bandiere portano le stelle della notte. Le nostre bandiere, al contrario, sono adornate con la stella del Grande Mattino, dai raggi estesi; con la ruota, il fiore del sole di Mezzodì.
Grandi civilizzazioni possono passare dall’oscurità del declino alla rinascita: Islam e Cina lo dimostrano. Gli Stati Uniti non sono una civilizzazione, ma una società, la materializzazione globale della società borghese, una cometa, come una potenza tanto insolente quanto transitoria. Non ha radici. Non è il nostro vero competitore nel palcoscenico della storia, soltanto un parassita.
Il tempo della conquista è terminato. Ora è il tempo della riconquista, interna ed esterna: la riappropriazione della nostra memoria e del nostro spazio: e che spazio! Quattordici fasce orarie dove il sole non tramonta mai. Da Brest allo Stretto di Bering: è davvero l’Impero del Sole, l’autentico luogo di nascita ed espansione del popolo Indo-Europeo. A sud-est si trovano i nostri cugini Indiani. A oriente la grande civilizzazione cinese, che dovrà decidere se essere nostra nemica o nostra alleata. A occidente, dall’altra parte dell’Oceano: l’America, che tenterà sempre di prevenire l’unione continentale. Ma potrà fermarla per sempre?
E ancora, a sud: il pericolo maggiore, scaturito dalle profondità della storia, quello con cui non sono possibili compromessi.
Boscaioli tentano di abbattere l’Albero, al loro fianco vi sono molti traditori e collaborazionisti. Difendiamo la nostra terra, proteggiamo il nostro popolo. Il conto alla rovescia è iniziato. Abbiamo tempo, ma poco.
E quindi, anche se taglieranno il tronco o la tempesta lo abbatterà, le radici rimarranno, sempre fertili. Una sola scintilla è sufficiente a riaccendere un fuoco.
Ovviamente, potranno schiantare l’Albero e smembrarne il cadavere, nel suono di una canzone crepuscolare, e gli europei anestetizzati non proveranno dolore. Ma la terra è fertile e un solo seme è sufficiente a iniziare una nuova crescita. Nel ventunesimo secolo, prepariamo i nostri figli alla guerra. Educhiamo dunque i nostri giovani, si tratti pure di una minoranza, come una nuova aristocrazia.

Oggi la morale non basta. Abbiamo bisogno di un’ipermorale, cioè l’etica nietzscheana dei tempi duri. Quando si difende il proprio popolo, i propri figli, allora si difende l’essenziale. Allora si segue la legge di Agamennone e Leonida, ma anche di Carlo Martello: ciò che prevale è la legge della spada, il cui bronzo o acciaio riflette la luce del sole. L’albero, il razzo, la spada: tre simboli verticali si ergono dal terreno verso la luce, dalla Terra al Sole, animati da linfa, fuoco e sangue.